Sarei apparso a dio in persona, se fossi stato vivo,
sfortunatamente


R. (B.) Larraìn

domenica 3 novembre 2013

La pennichella, Poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

Balbettavo
   non mi spiegavo
non ci riuscivo
  per lo più dormivo
steso sotto il lavandino
  lungo quello stupido declivo
con la testa a valle
  le api a
frotte
  nelle orecchie
il sorriso a spalle
  i vermi tra le dita
su, per le cosce
l'ortiche aggrovigliate
  su per
le palle
  a lenirmi angosce
che non provavo
  Balbettando latravo
in silenzio
  non mi spiegavo
come potesse il
  giorno
morir di stenti
  in un amen
come a chiuder
  l'occhi
in un amen
  senza lamenti

Come pesci muti, ciechi e muti, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

Ci sarebbe
  da chiarire, poi
ad un certo punto
e una volta per
tutte
chi è la
gente
quella bella
quella perbene
quella perdente
  e cos'è quella lieve
paranoia
che c'attanaglia tutti
che ci sdubbia
ci sdoppia l'anima
la sminuzza in un outlet
ai limite dell'estate
  E' quel che meritiamo?
Un outlet infinito in un
saldo perenne
una puttana perbene
uno sguardo
avvizzito sull'abisso
 del presente
senza lo straccio della speranza
di un posto
o di un chiodo (un chiodo, almeno quello)
fisso?
  Poi dovremmo
un bel giorno
capire chi siamo
e perchè alla fine
nella stessa identica
maniera
informe
tutti moriamo
col respiro tra
i denti
a brandelli
rendendo l'anima
  al niente
Poi, per dire,
non ci rimarrebbe
che dormire,
sognando sogni in rima
muti come pesci
autistici
pescati di mattina
sul lungomare
chiazzato dalla
brina
viola

giovedì 24 ottobre 2013

Nelle scollature, di grazia, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larrìn

Qualcuno mi  sa dire
come fare
nella risacca delle
cose
a perdere tempo
come certi perdono gli
amori in estate
i bambini nelle aree
di sosta
la testa nelle scollature
le mani nelle tasche?
Ora vi insegno
(ammetto, più
per filo che per
segno)
cosa dire ai funerali
come fare a
smarrirsi tra gli altari
a perdere le
bussole
a dormire il giorno
col sole al
davanzale senza
smettere (giuro!)
un solo istante di
fumare
Qualcuno, dicevo, me
lo sa dire,
di grazia,
dove andare?

martedì 22 ottobre 2013

E via discorrendo, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

Annuserete
le loro tombe
in un giorno di
vento, un
mattino, con la
luce di
sbieco
a timbrarvi
l'anima, e da lontano
vi stupirete
fino al pianto
di non provare
pietà,
nè simpatia,
ma solo
una voglia di
fumare
a lungo
e in silenzio
ridacchiando
con la parola
"tumore"
che vi rimbomba nei polmoni.
  Ma non insistete
non così tanto
per favore
e comunque con
più eleganza,
allora,
nel caso non
piovesse,
o non brilasse il sole
vi porterò
con me a dare
un'occhiata di sguincio
al patibolo a brandelli,
a far solletico agli
appesi che
dondolano in eterno con
quell'epressione sul viso
(viso, insomma)
da finti offesi
da dame di compagnia ubriache nei
bordelli
da puttane in agonia
snobbate dagli
uccelli (tutti, dai colibrì
all'aquile)
e annuserete le loro
tombe in un giorno di
vento, un mattino
e via discorrendo
 Ma non insistete
non così a lungo per favore,
e via discorrendo.

Donne appese alle finestre, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

Le belle donne
stan nei manicomi
o in taluni paesi stranieri
e lancinanti
e non hanno nulla a che spartire
con le ragazzine
tette sode e
culo di marmo, le belle donne
stanno appese alle
finestre nelle notti
senza Luna
nè l'altra
Hanno figli grandi
e perduti che
profumano di tabacco,
e fanno l'amore coi loro Moulinex
Lasciano indifferenti
solo certi nani e tutti
gli asmatici (avete presente,
gli asmatici? Dico, li
avete mai visti, in
faccia?)
Ma son cose di
poco conto,
hanno mani
come carte
geografiche e
un retrogusto
di rabarbaro alle ascelle,
quando muoiono,
se muoiono,
quando infine si prendono
la briga di farlo,
lanciano un urlo
come per mettere al
mondo qualcosa di osceno,
mostri per lo più
di cui sono
- e si sentono -
complici e "fiere"
e quando spirano
al funerale portano
amanti che non piangono
lacrime ma
si perdono tra le tombe con l'aria
offesa di chi s'è
perso per strada
e non lo sa,
e sogna natiche di pane
e amplessi di pastafrolla.

lunedì 21 ottobre 2013

Forse, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

Casomai qualcuno
mi avesse usato
la cortesia (sacrosanta)
entrando
di indicarmi l'uscita
forse
- dico forse -
l'uscita di scena ad esempio
o, ad ogni evenienza,
di senno,
non solo
non per forza
sarei stato
- forse -
in grado di essere
me stesso
almeno in parte
in parte minima
quantomeno in certi casi
estremi
Quali casi?
Quelli, e
altri ancora.
Di più, ad essere sincero
(e - giuro - non amo esserlo,
non lo amo affatto,
non lo considero degno),
non saprei dire.

Nell'occhio, il destro, poesia, di Rodrigo (Buenaventura) Larraìn

... le parole, che poi sono altro (o altro ancora che non saprei
dire)
e io che
mi sono costruito la mia cella
giorno dopo giorno, solo, 
albeggiando, 
col cinismo l'ho sigillata e l'ironia ha dato i giri alla chiave
albeggiando, 
però perdere non è niente, la libertà intendo
o due dita, o un mazzo di chiavi, la memoria,
o la verginità di qualcun altro che non sono io
e non sei tu,
o il senso del limite e dell'impotenza, non è niente
le parole, perderle, è l'abisso, 
albeggiando, 
un abisso tra i tanti che fuggiamo o rincorriamo, 
a seconda dei momenti e dei carichi pendenti, 
non è neppure quella gran tragedia perdere te, o me, 
o l'idea che ho di te, che la gente ha o non ha di te, o di me, 
o l'immagine tua che sfuma da una persona ad un'altra, o il tuo profumo che
non conosco
come si dice, 
albeggiando, 
non ti ho persa, dicono, 
lo dicono i poeti e altri personaggi
patibolari e sinistri, 
perchè non ti ho mai avuta non ti ho persa
o non ti ho persa perchè ti ho avuta,
o tu me,
o al revés,
ma le tue parole, e questo, 
credimi alba fredda e rugiadosa,
non lo dicono i poeti sinistri e patibolari, 
me le tengo strette.
Le prigioni, le celle, le parole, i tacchi alti, i mazzi di chiavi, la frutta nel centro
tavola, i moscerini, la luce della sera che sfibra gli interni
di giallo cromo, la radio che manda musiche balcaniche, free jazz, punk inglese,
il gatto, il divano, l'ronia che c'è nel gatto (in qualsiasi gatto), sul divano (su qualsiasi divano), nel tatuaggio, nello zigomo, nel fard, nel freddo fuori dal portone di casa, e
nel buio scavato dal lampione (un lampione qualsiasi), 
tutto questo e tutto ciò che non è questo ma che le parole han
sotteso, 
con me, 
nella mia cella, 
non le schiodo, 
mi rimangono ammorsate nell'occhio, il destro,
e anche se volessero, un giorno,
chissà quando, un giorno come tanti, nella luce estiva sudata di salsedine
magari, pure mi implorassero,
non le lascerò...